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Le particolarità del nuovo regime forfetario

Le particolarità del nuovo regime forfetario

di Alessandro Tatone (Quaderno settimanale n. 4/2019 – www. sercontel.it)

Premessa

Come noto, i commi dal 9 all’11 della Legge di Bilancio 2019 (Legge 30 dicembre 2018, n. 145, pubblicata in Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 302 del 31.12.2018 – Supplemento Ordinario n. 62) hanno modificato il regime forfetario introdotto dalla Legge n. 190/2014.

In verità il meccanismo di determinazione dell’imposta è rimasto immutato; sono invece cambiati:

  1. la soglia di accesso che – ad oggi – è unica, e non più differenziata in base al codice ATECO, e pari a euro 65.000;
  2. alcune delle cause di esclusione; in particolare sono stati rimossi i vincoli relativi:
  1. alle spese per il personale dipendente;
    1. all’acquisto di beni strumentali;
    1. al possesso di partecipazioni in soggetti collettivi;
    1. allo svolgimento contestuale, pregresso e futuro, di lavoro dipendente e autonomo.

Nulla invece viene modificato circa le fattispecie che permettono l’accesso all’ulteriore riduzione dell’aliquota IRPEF al 5%.

In pratica, rispetto le cause di esclusione, attualmente non possono accedere al regime forfetario:

  • le persone fisiche che si avvalgono:
  • di regimi speciali ai fini IVA;
    • di regimi forfetari di determinazione del reddito.

Al riguardo è necessario comunque sottolineare che tale inibizione non esclude, per il medesimo contribuente, la possibilità di adottare il regime forfetario per un altro tipo di attività. Si pensi ad esempio a un imprenditore agricolo il quale vedrà preclusa la possibilità di accedere al regime forfetario per l’attività agricola, ma qualora il medesimo dovesse svolgere ad esempio attività di somministrazione di alimenti e bevande, per quella potrebbe utilizzare il regime di determinazione forfetaria del reddito;

  • le persone fisiche non residenti, ad eccezione di quelle che sono residenti in uno degli Stati membri dell’UE o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo che assicuri un adeguato scambio di informazioni e che producono nel territorio dello Stato italiano redditi che costituiscono almeno il 75% del reddito complessivamente prodotto;
  • i soggetti che in via esclusiva o prevalente effettuano cessioni di:
  • fabbricati o porzioni di fabbricato;
    • di terreni edificabili;
    • di mezzi di trasporto nuovi;
  • gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività:
  • a società di persone, ovvero ad associazioni o a imprese familiari di cui all’articolo 5 del D.P.R. n. 917/1986;
    • controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni;
  • coloro che esercitano prevalentemente la propria attività nei confronti di datori di lavoro o di soggetti riconducibili a questi ultimi, direttamente e/o indirettamente, con i quali è in corso un rapporto di lavoro o lo era nei due precedenti periodi di imposta.

Come sovente accade, le nuove disposizioni fanno sorgere numerosi dubbi applicativi con riferimento ai quali, con il presente intervento, vogliamo fornire alcuni chiarimenti.

Nessun adempimento per l’accesso al regime

L’innalzamento della soglia a euro 65.000 per l’accesso al regime forfetario ha di fatto rimesso in gioco tanti imprenditori individuali che, negli scorsi anni:

  • avevano optato per l’adozione del regime di contabilità semplificata in quanto ritenuto fiscalmente più conveniente;
  • ne erano esclusi per superamento delle soglie.

Ora, una volta che l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche per i primi soggetti, che sarebbero per legge vincolati al regime scelto per un triennio, vi è la possibilità di accedere al regime forfetario, ci si chiede se vi siano degli adempimenti specifici per ratificare il passaggio dal regime ordinario a quello di vantaggio.

In realtà, per i contribuenti già in attività non esiste alcuna comunicazione particolare da inviare, essendo sufficiente l’adozione di un comportamento concludente.

È comunque opportuno ricordare che per la fattispecie contraria (forfetario che opta per l’ordinario), sebbene non sia previsto alcuno specifico adempimento, persiste l’obbligo di indicare tale opzione nel quadro VO della prima dichiarazione IVA successiva all’adozione del “regime di contabilità”, il quale sarà vincolante per un triennio e, decorso tale termine, di anno in anno fino a successiva modifica.

L’eventuale mancata indicazione in dichiarazione di tale circostanza comporta una sanzione che va da euro 250 a euro 2.000.

Diverso invece il discorso per i contribuenti che decidono di avviare l’attività e di aderire al regime forfetario. In tal caso è necessario, come nel passato, nella comunicazione di inizio attività (modello AA9/12), barrare la casella “Regime fiscale agevolato” con il codice “2”.

La fuoriuscita e il rientro nel regime forfetario non fa perdere il 5%

Con riferimento all’innalzamento della soglia di ammissione al regime forfetario a euro 65.000, era sorto il dubbio se i contribuenti che avevano iniziato da meno di cinque anni la loro attività, e che avevano perso i requisiti di accesso per superamento delle vecchie soglie, essendo “riammessi” al regime di vantaggio come modificato dalla Legge n. 145/2018, potessero ancora fruire dell’aliquota IRPEF ridotta al 5%.

Ora, partendo dal presupposto che il comma 65 dell’articolo 1 della Legge n. 190/2014, stabilisce che il contribuente acquisisce la qualifica di start-up quando, al momento dell’avvio dell’attività, ne possiede i requisiti, ed essendo questi requisiti completamente “sganciati” da quelli richiesti per la determinazione del reddito forfetario, la conclusione sembra abbastanza agevole.

Non a caso, nella sua formulazione, il richiamato comma 65 prevede che l’aliquota di cui al comma 64 (15%) è stabilita nella misura del 5% a condizione che, fra l’altro:

  • il contribuente non abbia esercitato, nei 3 anni precedenti, attività artistica, professionale o d’impresa, anche in forma associata o familiare;
  • l’attività da esercitare non costituisca, in nessun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente / autonomo, escluso il caso in cui la stessa costituisca un periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio dell’arte / professione;
  • qualora l’attività sia il proseguimento di un’attività esercitata da un altro soggetto, l’ammontare dei ricavi / compensi del periodo d’imposta precedente non sia superiore ai limiti di ricavi / compensi previsti per il regime forfetario.

Di conseguenza, essendo la qualifica di start-up acquisita con una valutazione cristallizzata al momento dell’inizio dell’attività, che peraltro rimane tale fino al quinto anno, deve ritenersi che anche in caso di “riammissione” al regime di vantaggio, l’aliquota ridotta del 5% possa essere adottata.

Ciò anche in ragione del fatto che il termine quinquennale non è soggetto a rinnovo, né tanto meno a cause di decadenza.

Per maggiore chiarezza si consideri il seguente caso di un professionista che ha iniziato la propria attività nel 2016 avendo i requisiti di start-up:

Anno Ricavi Metodo di determinazione base imponibile Start-up Aliquota
D’imposta Attività
2016 25.000 Forfetario 5%
2017 48.000 Forfetario 5%
2018 58.000 Ordinario Marginale
2019 64.000 Forfetario 5%
2020 60.000 Forfetario 5%
2021 58.000 Forfetario No 15%

Professionista forfetario se con partecipazioni di minoranza

Come abbiamo avuto modo di specificare in precedenza, la partecipazione di un contribuente a una Srl non è di per sé causa di esclusione dal regime forfetario; lo diventa solo nel momento in cui questa:

  1. sia di controllo (diretto o indiretto);
  2. sia relativa a una società che svolge attività correlate con quella prestata dal contribuente sotto forma individuale / forfetaria.

Al riguardo dubbi non sussistono in quanto, già nella relazione illustrativa alla Legge di Bilancio 2019, era stato chiarito che la ratio della modifica è “di evitare artificiosi frazionamenti delle attività d’impresa o di lavoro autonome svolte”.

In altre parole, la nuova causa ostativa è stato introdotta dal Legislatore per evitare di permettere al contribuente l’adozione di comportamenti volti a cogliere impropriamente i vantaggi fiscali generati dall’ampliamento del nuovo regime. Senza tali vincoli, infatti, questo potrebbe:

  1. usufruire dell’aliquota agevolata del 15% fino ad un monte ricavi di euro 65.000;
  2. fatturare la restante parte per il tramite di un’attività societaria controllata, anche indirettamente;
  3. determinare tale ultimo reddito analiticamente considerando – oltretutto – anche le componenti negative di reddito riconducibili all’attività individuale.

In pratica, per come concepita la norma, possono delinearsi due fattispecie:

  1. il regime agevolativo è comunque fruibile da un imprenditore socio, anche di maggioranza, a condizione che il core business della società partecipata non sia riconducibile all’attività primaria svolta in forma individuale / forfetaria. Si pensi ad esempio a un avvocato che possiede la maggioranza del capitale sociale di una Srl che opera nel settore immobiliare, ovvero nel settore della somministrazione di alimenti e bevande;
  2. il regime agevolativo è precluso a un imprenditore che detiene il controllo (diretto o indiretto) di una società il cui core business sia affine all’attività primaria svolta dal medesimo. Si pensi ad esempio a un tributarista che possiede il 51% delle partecipazioni in un CED. In ciò non rileva la circostanza che la maggioranza sia detenuta personalmente, ovvero sia il risultato della somma delle quote di partecipazione del nucleo familiare del professionista in questione.

È ben chiaro che, in linea di principio, a questo soggetto non è precluso il regime forfetario solo a condizione che la quota societaria detenuta non sia di controllo.

Le ragioni dell’esclusione risiedono, infatti, nella circostanza che il CED contabile potrebbe essere riconducibile a un vantaggio organizzativo artificioso, volto in realtà all’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale.

In tal caso pertanto, nell’ambito di una valutazione unitaria dell’effettiva attività svolta dal professionista, la redazione della contabilità per mezzo del CED, sarebbe indirettamente ricondotta al socio professionista e, integrandosi una causa ostativa, sarebbe interdetto l’accesso al regime forfetario nella sfera individuale.

Stesso discorso si ritiene plausibile anche quando le attività svolte dal CED e quelle condotte dal professionista sono, almeno apparentemente, del tutto estranee.

Si pensi ad esempio al caso di un commercialista che attraverso il CED svolge tutte le attività contabili, mentre con la propria partita IVA, in regime forfetario, presta esclusivamente servizi di assistenza ai clienti in sede contenziosa, nonché di revisione contabile.

Nel caso di specie, anche se non vi è alcun legame diretto tra le prestazioni svolte in forma di impresa individuale e quelle del CED, tale ultima attività rappresenta una naturale relazione di supporto alle professioni giuridico-contabili che, in quanto tale, preclude l’accesso al regime forfetario.

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